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La mia verità

In questi anni ho capito che l’arte non chiede di essere amata, ma rispettata.

E con lei, anche chi la fa.

Viviamo in un tempo in cui tutto deve piacere subito, essere compreso, commentato, valutato.

L’arte, invece, ha un’altra lingua: parla di silenzio, di tentativi, di errori che diventano forma.

Ma per ascoltarla serve rispetto.

Il rispetto è lo spazio tra lo sguardo e il giudizio.

È quel momento in cui si sceglie di osservare prima di dire, di sentire prima di capire.

È l’attesa che permette alle cose di rivelarsi da sole.

Ogni volta che creo, metto sul tavolo la mia parte più fragile:

quella che non so spiegare, quella che non posso difendere.

E chiedo solo che non venga calpestata da chi guarda senza vedere.

Chiedo rispetto per l’imperfezione, per la materia che resiste, per il processo che non si mostra ma che costruisce tutto.

Perché ogni opera, come ogni persona, ha bisogno di uno spazio in cui respirare.

Il rispetto non è accordo, non è consenso, non è approvazione.

È riconoscere l’altro nella sua differenza.

È dire: non ti capisco del tutto, ma ti lascio essere.

Ed è forse qui che nasce la vera bellezza:

quando smettiamo di voler piacere

e iniziamo a voler restare veri.

 
 
 

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